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mercoledì 12 ottobre 2016

Oltre il campo sosta e il ghetto: due esperienze di ricerca etnografica e visuale nel Salento




di Antonio Ciniero* e Ilaria Papa**

Ahmet -  Fonte: fermo-immagine tratto dal documentario in lavorazione sul lavoro braccintile    

Articolo pubblicato in Mondi Migranti, n. 2/2016 

Introduzione

L’articolo[1] presenta alcune riflessioni sul rapporto tra metodologie visuali e studi migratori. Si tratta di considerazioni sviluppate a partire dall’esperienza maturata nell’ambito di due indagini sociologiche: la prima, realizzata tra il 2008 e il 2011, ha coinvolto un gruppo di cittadini rom alloggiati nel campo sosta Panareo di Lecce; la seconda, iniziata nella primavera del 2015 e tuttora in corso, alcuni braccianti impegnati nella raccolta stagionale agricola che ha il suo epicentro nella cittadina di Nardò (Le). Le indagini riprendono, e in qualche modo continuano, un percorso di ricerca, ispirato ai principi metodologici dell’action-research (Lewin, 1946; Lapassade, 1991; Barbier, 2007), iniziato sul finire degli anni Ottanta, nel caso dei cittadini rom, e nei primi anni Novanta, per i braccianti, dal gruppo di ricerca in parte confluito nell’International Center of Interdisciplinary Studies on Migration (Icismi) dell’Università del Salento.  
Allora come oggi, ci si è confrontati con gruppi di cittadini di origine straniera inseriti in una condizione di forte marginalità sociale, la cui presenza sul territorio, nel corso di trent’anni, è stata gestita dalle istituzioni locali come una perenne emergenza, da non mostrare all’opinione pubblica, se non secondo sperimentati copioni narrativi in cui, media, da una parte, e attori politici ed economici dall’altra, hanno costruito e veicolato un’immagine semplicistica e stereotipata dei due contesti e dei soggetti che li abitano.

lunedì 3 ottobre 2016

3 ottobre: il ricordo non basta!



Credit: Laszlo Balogh



In questo 3 ottobre, ricordiamo le tante, le troppe, vite ingoiate dal Mar Mediterraneo. Ma oltre a ricordare, l’Italia e l’Europa farebbero bene ad attrezzarsi – e il prima possibile, visto che sono già in ritardo di almeno trent’anni - per permettere finalmente a chi parte di giungere vivo e incolume in Europa.
Le morti nel Mediterraneo non sono un incidente, né una tragica fatalità. Non sono nemmeno conseguenza di scafisti senza scrupoli, come spesso la stampa ci ripete. Le morti nel Mediterraneo sono conseguenza diretta e immediata delle politiche migratorie europee (e italiane).
Per evitarle occorrerebbe poco: nell’immediato basterebbe l’apertura di corridoi umanitari, seguita, in breve tempo, dalla riformulazione delle politiche in materia di migrazione. Cosa, di per sé, tecnicamente semplice, ma politicamente complicatissima visti gli interessi in questione, i rapporti e le relazioni economiche internazionali che si giocano sulla pelle delle persone, dei migranti e di tutti noi.