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sabato 18 giugno 2016

Oltre il caporalato, lo sfruttamento


(Giovani lavoratori sulla strada verso il "ghetto" - ph. I. Papa)





pubblicato in sbilinfo

Antonio Ciniero

Dopo lo sciopero del 2011 dei braccianti agricoli alloggiati nel campo di Boncuri (Nardò - Le), in Italia è tornato a riaprirsi un dibattito pubblico sul tema del lavoro in agricoltura, soprattutto di quello stagionale; aspetto sicuramente positivo ma che rischia di avere tra le altre conseguenze quella di ridurre la complessità del tema trattato, selezionando e proponendo alla discussione pubblica solo alcuni aspetti del fenomeno e in questo modo favorendo la diffusione di un’immagine molto parziale della questione: è il caso di quanto sta avvenendo rispetto alla tematizzazione del rapporto intercorrente tra caporalato e sfruttamento lavorativo. Una tematizzazione che rischia di avere ricadute politiche, economiche e sociali non indifferenti.
Dal 2012 ad oggi, molte sono state le inchieste giornalistiche, le analisi socio-economiche, le pubblicazioni che hanno affrontato la questione del lavoro agricolo con un approccio che ha finito per far coincidere, per lo meno nell’immaginario pubblico, il fenomeno del caporalato con quello dello sfruttamento lavorativo in agricoltura. E questo non solo in abito giornalistico, ma anche in parte della pubblicistica specialistica dedicata al tema e, soprattutto, nel dibattito politico ed istituzionale che di fatto negli ultimi anni si è limitato a discutere di interventi - tra l’altro ancora lontani dall’essere approvati - volti al solo contrasto del caporalato.

giovedì 9 giugno 2016

Jerry è morto per colpa di balordi, Mohamed perché faceva caldo e Sekine per legittima difesa…


Antonio Ciniero

Il 25 agosto del 1989, a Villa Literno, in provincia di Caserta, Jerry Masslo, fu colpito a morte con tre colpi di pistola nel capannone dove dormiva perché rifiutò di consegnare ad una banda di balordi il denaro che aveva faticosamente messo da parte raccogliendo pomodori per tre lunghi mesi. Masslo aveva 30 anni quando è morto, era un esule sudafricano, impegnato nella lotta contro il regime di apartheid, scappato in Italia perché nel suo paese rischiava la vita e tuttavia nel nostro paese non fu riconosciuto rifugiato politico per via della riserva geografica, allora in vigore, con la quale l’Italia aveva sottoscritto la Convenzione di Ginevra.  
Il 20 luglio dell’anno scorso, Abdullah Mohamed, cittadino sudanese, riconosciuto rifugiato politico dall’Italia, muore a soli 47 anni mentre raccoglie pomodori in un campo del Salento, non ha un contratto per quel lavoro, è arrivato a Nardò solo un paio di giorni prima della sua morte, dormiva nei campi, all’interno del ghetto di Nardò.  
L’8 giugno 2016, Sekine Triore, 26 anni, proveniente dal Mali, muore nella tendopoli di San Ferdinando, alle porte di Rosarno in Calabria.  
Può sembrare azzardando mettere in relazione queste tre morti? Forse sì, ma non si possono non tenere in considerazione alcuni elementi che le accomunano …