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martedì 31 ottobre 2023

Presentazione Dossier Immigrazione 2023 - Puglia

La presentazione pugliese del Dossier Statistico Immigrazione 2023, organizzata dalla CGIL - Puglia, si è svolta a Bari il 26 novembre in contemporanea con tutte le altre regioni italiane


L’introduzione dei lavori è stata curata da Azmi Jarjawi, responsabile del Dipartimento Immigrazione della Cgil pugliese.

I contenuti del Dossier sono stati illustrati da Antonio Ciniero, dell’Università del Salento, nonché componente della redazione regionale del Centro studi e ricerche Idos.

A commentare i dati sono stati Rosa Barone, Assessora al Welfare della Regione Puglia; Ines Pierucci, Assessora alla Cultura del Comune di Bari; Roberto Venneri, Segretario generale della Presidenza della Regione Puglia; Maurizio Moscara del Comitato “Io Accolgo” Puglia; Erminia Rizzi dell’Associazione Studi giuridici sull’Immigrazione Puglia; Sergio Fontana, Presidente di Confindustria Puglia; Leo Palmisano, scrittore e sociologo; Angelo Cassano, referente di Libera Puglia. Concluderà i lavori la segretaria generale della Cgil Puglia, Gigia Bucci.







giovedì 9 marzo 2023

Consiglio dei Ministri a Cutro. Alcune brevi osservazioni

 

di Antonio Ciniero

Queste pare siano le proposte che oggi il consiglio dei ministri vorrebbe approvare. Alcune brevi osservazioni:

1) stretta sugli scafisti, con l’inasprimento delle pene e l’aggravante in caso di naufragio.
L'inasprimento delle pene non produce effetti sulla diminuzione delle partenze, o sulla diminuzione dei naufragi, al massimo può incidere sulla modificazione dell'organizzazione dell'ultimo tratto di viaggio. Per ridurre naufragi, per fare in modo che ci siano partenze e viaggi sicuri, c'è solo una cosa da fare: cambiare le norme, prevedendo ingressi regolari e sicuri.
2) Semplificazione degli ingressi regolari, con la mobilitazione degli uffici diplomatici per l’esame in loco delle richieste.
Per semplificare gli ingressi va innanzitutto abolita la Bossi Fini. Vanno cambiate le modalità di ingresso per lavoro prevedendo almeno un titolo di soggiorno per ricerca del lavoro, continuare ad avere una normativa che prevede il possesso di un contratto di lavoro prima della partenza è del tutto irrazionale, produce solo esclusione e determina ingressi in condizione di irregolarità e/o costringe i migranti a ricorrere alla richiesta (a volte) impropria di protezione. Per chi è in fuga perché costretto, la proposta semplicemente non ha senso, a meno che non si dia la possibilità di presentare richiesta di asilo nelle ambasciate italiane istituendo in ogni ambasciata una commissione per l'esame della richiesta che preveda anche la presenza dell'UNHCR e garantendo la sicurezza dei richiedenti asilo per tutta la durata del procedimento.
3) L’accelerazione sulle espulsioni: ma chi viene rimpatriato non deve rischiare di tornare in zone di guerra.
Il tema delle espulsioni è pura demagogia, basti vedere quante espulsioni vengono effettuate ogni anno, le espulsioni non si possono effettuare perché mancano accordi di riammissione, parlare di espulsione significa solo fare in modo che le persone restino in condizione di irregolarità, prive di diritti e sfruttabili sul mercato del lavoro. Ps: le espulsioni verso zone di guerra sono semplicemente vietate dalla Convenzione di Ginevra... Non sono una gentile concessione di un governo cinico e (post)fascista!
4) L'allargamento del decreto flussi, che potrebbe avere durata triennale, con quote privilegiate ai paesi che collaborano al contrasto dell’immigrazione clandestina.
Andrebbero previsti almeno 300 mila nuovi ingressi l'anno, ma soprattutto si dovrebbe prevedere, come si diceva sopra, modalità di ingresso per ricerca di lavoro, altrimenti i flussi continueranno ad essere costretti all'irregolarità e i decreti flussi torneranno ad essere quello che erano in passato: mini sanatorie mascherate... Sull'ossessione per le espulsioni mi taccio...
La verità, triste e amara, è che nemmeno questa tragedia basterà a far cambiare rotta a più di trent'anni di politiche di esclusione. Le responsabilità di queste politiche ovviamente non sono imputabili solo a questo esecutivo e a questa maggioranza, le responsabilità sono, sebbene in diversa misura, di tutte le maggioranze, politiche e "tecniche", che si sono alternate al governo del paese in questi trent'anni! Ma se trent'anni fa forse poteva funzionare l'alibi che il paese era impreparato... che il fenomeno si conosceva ancora poco... oggi non esistono più nemmeno queste finte giustificazioni!

lunedì 27 febbraio 2023

Stragi in mare e scafisti. Come si crea il mostro da sbattere in prima pagina

 


di Antonio Ciniero

È salito ancora il numero delle vittime dell’ultima tragedia del mare. In questo momento sono oltre 60 le persone morte a causa delle politiche di chiusura delle frontiere. 

La rotta che collega le coste della Turchia con quelle della Calabria non è nuova, in epoca contemporanea è solcata almeno dalla metà degli anni Novanta, quando a percorrerla erano soprattutto profughi curdi in fuga dell’oppressione del governo turco. È proprio lungo quella rotta che, alla fine degli anni Novanta, approdò sulle coste di Riace un gruppo di profughi curdi. Fu l’accoglienza che si attivò per quelle persone che portò alla nascita di quello che poi sarebbe diventato il modello Riace. Ma questa è un’altra storia. 

Il racconto pubblico di questa ennesima tragedia continua a riproporre il solito copione ipocrita che vede questa tragedia come mera conseguenza dell’azione di scafisti senza scrupoli. 

Scafisti, trafficanti di esseri umani, taxi del mare… sono etichette divenute ormai egemoni nel discorso pubblico sulle migrazioni, un vero e proprio frame che condiziona leggi, dichiarazioni di esponenti politici, affermazioni di ministri della repubblica, articoli di giornali e servizi televisivi.  Etichette che semplificano la realtà, introdotte dalla destra, ma fatte subito proprie anche della sinistra, soprattutto quando ha avuto responsabilità di governo. Non possiamo non ricordare che fu proprio un governo di centro sinistra ad iniziare la guerra alle ONG, che nel giro di pochi mesi da angeli del mare divennero collusi con gli scafisti.

Se vogliamo provare quantomeno a non essere ipocriti, se vogliamo provare ad onorare la memoria di queste ulteriori 60 persone, dobbiamo avere il coraggio di dire che quelle morti ci chiamano tutti in causa, perché sono conseguenza diretta del modo in cui i paesi dell’UE e l’Italia hanno deciso di approcciare la governance delle migrazioni nell’ultimo quarantennio. Non possiamo continuare ad accettare l’idea che quelle morti siano solo causa di pericolosi scafisti.

Dobbiamo avere il coraggio di dire che lo scafista sta alle tragedie in mare, come il caporale sta allo sfruttamento. Non ne sono la causa, sono solo uno degli elementi che concorrono al perpetuarsi e l’esacerbarsi dei due fenomeni. 

Così come il sistema del caporalato diviene tanto più pervasivo, quanto più sono ampi i “vuoti istituzionali”, vale a dire, quanto meno sono garantiti dalle istituzioni pubbliche i servizi che, per legge, dovrebbero essere assicurati ai lavoratori. Allo stesso modo, il ricorrere ad organizzazioni che gestiscono canali irregolari di ingresso diviene una scelta obbligata per quanti sono posti nella condizione di non avere la possibilità di intraprendere un viaggio in condizione di regolarità. Sia che si tratti di cosiddetti migranti economici, che provano a cercare altrove quelle opportunità che sono negate in patria, sia, a maggior ragione, per chi è costretto alla fuga da situazioni di guerre, conflitti o disastri ambientali. 

Gli scafisti (come i caporali) sono diventati nel discorso pubblico italiano un facile capro espiatorio, secondo il consolidato meccanismo della costruzione del “mostro” da sbattere in prima pagina, a cui addossare le colpe di fenomeni strutturali che non si vogliono affrontare in maniera adeguata e, al contempo, guadagnare consenso (sociale ed elettorale) sulla vita dei soggetti più deboli, financo sulla vita dei bambini, come è avvenuto ieri nelle acque di Cutro. 

Scafisti e caporali sono figure molto più articolate di quanto non lo siano raffigurati nel discorso mainstreaming. Così come non esiste un solo tipo di caporalato, ma un sistema eterogeneo che va da chi si “limita” a prendere dai lavoratori pochi in euro in cambio del servizio di trasporto, fino a chi riduce, attraverso la violenza, in condizioni paraschiavili i lavoratori, allo stesso modo, gli scafisti non sono una realtà omogenea e monolitica, non ci sono solo criminali a condurre i natanti. In non pochi casi a guidare una delle tante barche cariche si speranza e disperazione può essere un pescatore o, semplicemente, una persona che sa guidare un’imbarcazione. 
Anzi, come è emerso anche da diverse attività di ricerca, può succedere, ad esempio, che le organizzazioni di criminali affidino la guida di un’imbarcazione, il più delle volte malmessa, a uno dei migranti che è in grado di farlo: questo permette al consorzio criminale di non avere problemi nel caso la barca sia intercettata, perché non vengono “presi” i suoi uomini  e a chi conduce la barca permette di viaggiare senza pagare le cifre esorbitanti che le organizzazioni pretendono come “costo del biglietto”. 
Nel corso degli anni di ricerca mi è anche capitato di intervistare un giovane ragazzo che si è ritrovato suo malgrado a fare da scafista, o meglio, da capitano della barca come preferiva definirsi lui. 
Il suo racconto credo possa servire a smontare le retoriche che ammantano i discorsi pubblici sulla governance delle migrazioni, quelle stesse retoriche che provano surrettiziamente ad addossare la causa delle tragedie del mare solo a chi organizza i viaggi lasciando così libera la coscienza di chi, attraverso le leggi, crea le condizioni affinché quelle tragedie si verifichino. 

Il racconto che mi fece quasi dieci anni fa un ragazzo è questo: 

“Quando sono salito sulla barca che dalla Libia mi avrebbe dovuto portare in Italia era la prima volta che vedevo il mare. Nel mio paese il mare non c’è, ero emozionato e spaventato nel vedere questa enorme distesa di acqua…l’ho assaggiata per vedere se fosse veramente salata, e lo era, ricordo di aver sputato subito tutto! Il viaggio in barca è stato duro, è durato più di una settimana. Eravamo una cinquantina, c’erano anche donne e bambini. Ad un certo punto il capitano che guidava la barca si è sentito male e così la barca ha iniziato ad andare alla deriva. Siamo rimasti alla deriva per più di un giorno intero e sulla barca tutti hanno iniziato ad avere paura, iniziavano a mancare anche acqua e cibo e non sapevamo cosa fare. Così ho preso in mano la situazione e ho provato a mettermi al timone. Era la prima volta e quando ho accelerato ho rischiato quasi di far capovolgere la barca, ma poi, piano piano, ho capito come fare, e ho iniziato a guidare la barca. Non sapevo dove stessimo andando, eravamo in mezzo al mare, vedevamo solo acqua, ma ad un certo punto un grande pesce si è avvicinato alla barca, credo fosse un delfino. Non so se sia stato Dio, io credo di sì, ma quel pesce ci ha guidato… è sempre stato al fianco della nostra barca, finché non abbiamo visto terra. Una volta arrivati sulla spiaggia di quel paese, che poi ho scoperto chiamarsi Cassibile, siamo stati aiutati dalle persone che erano sulla spiaggia, io ho guardato l’orizzonte per rivedere e salutare il grande pesce che ci aveva condotto in salvo, ma non c’era più”. 

Questo racconto è uno di quelli che conservo con più emozione nella memoria e a cui penso spesso perché ci aiuta a capire quanto sia pericoloso il continuo tentativo di creazione di mostri. Se quel giorno sulla spiaggia di Cassibile il protagonista di questo racconto fosse stato intercettato dalle forze dell’ordine, anziché dai bagnanti che hanno soccorso lui e i suoi compagni di viaggio, sarebbe probabilmente diventato “un pericoloso scafista” e non l’uomo, divenuto eroe suo malgrado, che ha portato in salvo circa cinquanta persone e che oggi è impegnato nella difesa dei diritti dei più deboli, italiani e stranieri. 
Questo racconto è importante anche perché ci permette di capire che, sebbene sia più semplice vedere un mostro nello scafista, nel criminale, la verità è che le leggi democratiche degli Stati e la propaganda che le hanno accompagnate sono riuscite nell’intento di creare creato un mostro apparentemente invisibile che continua a nutrirsi della vita di innocenti e che su quelle vite impunemente costruisce potere politico, inventando inesistenti invasioni per guadagnare consenso elettorale. Tutto ciò non è mai stato accettabile, tutto ciò non può continuare ad essere accettato.
 
Se gli Stati vogliono fermare l’eccidio che continua da quarant’anni nel Mediterraneo, hanno tutti gli strumenti per farlo: basta cambiare le leggi, renderle ragionevoli, prevedendo i meccanismi di ingresso regolari che, ad oggi, ancora mancano e, soprattutto, rispettose della vita umana.  


venerdì 25 novembre 2022

Le contraddizioni sono strutturali

 



Quando si confonde il marketing con la politica i risultati non possono che essere quelli a cui stiamo assistendo. Quando immagini, slogan, comunicati, dichiarazioni, post, video, articoli, racchiusi dentro narrazioni mediatiche parziali e di parte, prendono il sopravvento sulla realtà, sulla conoscenza reale di quella realtà, quando la costruzione della figura di un leader conta più, mediaticamente, dei percorsi collettivi e di gruppo, sui processi di riflessione, sullo stare sul campo e sull’impegno (silenzioso), sulle lotte concrete che tanti lavoratori e lavoratrici (italiani e non) portano avanti con fatica, succede che nel fango dei commenti violenti e ironici non finiscano solo certe foto patinate diffuse  e commentate sui social e sui media. Chi ci guadagna in tutto ciò? Al momento, indubbiamente, le destre al governo, che possono lavorare ad una pessima manovra senza che se ne parli, dando in pasto all’opinione pubblica l’ennesimo scandalo, che si poteva prevedere! Se solo certa sinistra fosse stata in quei luoghi dove si costruiscono, appunto, pratiche solidali. 


La campagna mediatica che sta montando ha un obiettivo ben preciso, non mira solo a colpire un singolo, mira, anche e soprattutto, a screditare ogni forma di opposizione, ogni forma di resistenza, ogni forma di critica rigorosa. 

A breve, dal caso singolo si passerà a colpire (politicamente e mediaticamente) l’insieme delle lotte e delle forme di solidarietà. È una cosa che abbiamo già visto in tempi recenti. 
Il sistema di accoglienza nel suo insieme sarà, molto probabilmente, il prossimo bersaglio. 
A ciò, da sinistra, o si risponde mettendo insieme le lotte per superare l’attuale gestione dell’accoglienza che produce strutturalmente contraddizioni o, tra qualche anno, rivivremo nuovamente questo déjà-vu.

Forse scriverò una cosa impopolare, ma è così: tutto l’attuale sistema di accoglienza italiano è pieno di contraddizioni. Non sorprende, visto che si tratta di un sistema pensato nel 2011, quando era ministro dell’Interno Maroni (Lega Nord) e consolidatosi, prima durante la cosiddetta “Emergenza nord Africa”, poi,  dal 2015, con la cosiddetta crisi dei rifugiati. È un sistema che crea contraddizioni, perché contradditorio è l’approccio europeo e italiano alle migrazioni, un approccio in continua tensione tra esclusione ed inclusione, nella gran parte dei casi subalterna.

giovedì 29 settembre 2022

Reddito di cittadinanza “miti propagandistici” Vs dati reali




di Antonio Ciniero

Il Reddito di Cittadinanza pare essere diventata la causa principale dei problemi del paese, sono mesi che il tema tiene banco nel dibattito pubblico. Peccato però che nel dibattito trovino spazio solo le considerazioni e le opinioni di coloro che le propongono. Ognuno ha un amico imprenditore che non può assumere per colpa del RdC, ognuno conosce chi lavora in nero per propria scelta per continuare a percepire RdC, ognuno conosce qualcuno che rifiuta il lavoro proposto per continuare a percepire comodamente sul divano il RdC. Senza nulla togliere alla percezione individuale degli illustri signori e delle illustri signore che affollano il dibattito politico nostrano, penso che uno sguardo ai dati possa aiutare a proporre ragionamenti, se non più equilibrati, quantomeno maggiormente ancorati alla realtà. 

In due anni, tra il 2019 e il 2020, le truffe accertate da Carabinieri e Guardia di finanza hanno riguardato 174 milioni circa su una spesa complessiva di 15 miliardi circa, vale a dire l’1% del totale. 

Secondo un report di febbraio 2022 dell’istituto Nazionale per l’Analisi delle Politiche Pubbliche: il Reddito di cittadinanza ha rappresentato un’ancora di salvezza per 1,8 milioni di famiglie.  Inoltre, il report, sottolinea che circa il 46% dei percettori risultano occupati (552.666 standard e 279.290 precari) con impieghi tali da non consentir loro di emergere dal disagio e da costringerli a ricorrere al RdC per la sussistenza. Si tratta quindi dei cosiddetti “working poors”, lavoratori poveri, quello che può apparire un ossimoro è, invece, sempre più una triste realtà, conseguenza dalle politiche economiche neoliberiste, e, tra l’altro, sempre più in crescita nel nostro paese, come ci ricordano annualmente i report dell’Istat dedicati all’analisi della povertà in Italia. 

Rispetto a chi ha rifiutato i lavori proposti, altro mito cavalcato da chi vorrebbe abolire il RdC, i motivi rilevati nel rapporto su menzionato da coloro che hanno declinato l’offerta proposta sono stati i seguenti: nel 53,6% l’offerta è stata rifiutata perchè non in linea con le competenze possedute, nel 24,5% perché non in linea con il proprio titolo di studio, nell’11,9% per una retribuzione troppo bassa. Solo il 7,9% di coloro che hanno rifiutato l’offerta lavorativa ha indicato la necessità di spostarsi come causa prevalente del rifiuto.

Il RdC è uno strumento che sicuramente si può migliorare, per farlo però non bastano proclami propagandistici, serve un approccio serio. Guardare ai dati è un primo passo.  

Più in generale però, bisognerebbe lavorare per invertire le dinamiche economiche che favoriscono i processi di impoverimento che riguardano fasce sempre più ampie di popolazione. Detto in altri termini, per contrastare i processi di impoverimento servono politiche di redistribuzione della ricchezza, serve mettere al centro dell’azione politica il lavoro e la tutela dei diritti del lavoro invertendo la tendenza dell’ultimo quarantennio che, mortificando lavoro e diritti del lavoro, ci ha portato alla situazione attuale.  




lunedì 26 settembre 2022

Un (breve) commento a caldo sui risultati elettorali

 



di Antonio Ciniero



“E' il tempo della responsabilità” ha detto commentando a caldo i risultati elettorali Giorgia Meloni. Risultati che mettono in luce almeno un paio di evidenze che penso resteranno tali a prescindere dalle analisi che si potranno fare con calma, vedendo la distribuzione  territoriale e i flussi dei voti. 

La prima, è che il fronte delle forze politiche cosiddette “progressiste” ha inequivocabilmente perso (e non è la prima volta), non solo queste elezioni politiche, ma ha perso, soprattutto, “la sua gente”, ha perso cioè militanti, semplici cittadini che, per troppi anni, hanno ingoiato bocconi amari pur di “difendersi dal pericolo delle destre”, salvo poi scoprire che politiche “di destra” erano state portate comunque avanti da coloro che ci avrebbero dovuto difendere dalle destre. L’elenco è lunghissimo, e va dai processi di precarizzazione delle vite di milioni di ragazzi e ragazzi ai quali il sogno della flessibilità ha regalato solo insicurezza, una generazione (in verità oramai più di una) di persone costrette a vivere vite sospese, continuamente rimandate per citare Luciano Gallinno, al continuo procrastinare (non si sa però a quando…) l’approvazione di leggi che avrebbero semplicemente riconoscito diritti civili, sociali e politici a cittadini e cittadine che oggi ne sono privi.

venerdì 6 maggio 2022

II Sessione - Dal lato oscuro del confine. Mobilità e diritti alle frontiere d'Europa


 


Campi informali e pratiche di autorganizzazione

Chair: Ivan PUPOLIZIO (Università degli Studi di Bari "Aldo Moro") Interventi di: Elena FONTANARI (Università degli Studi di Milano) Antonio CINIERO (Università del Salento) Irene PEANO (Universidade de Lisboa) Giuliana SANÒ (Università degli Studi di Messina) Francesco MARCHINI (University of South Wales)